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Parte essenziale della mia attività di progettista è costituita dalla ricerca.

Il progettista ha la funzione di raccogliere informazioni, analizzare gli ambiti di sviluppo, applicare soluzioni funzionali e realistiche, facendo di tutto un'opera di gusto (anche) creativo.


19.Progettazione della natura (ep.6): il Medioevo (seconda parte)

Pubblicato il 16 novembre  2024 alle ore 7:42

Maestro d'Antoine Rollin, Giardino Murato, miniatura del manoscritto Le livre del échecs amoureux (Evrart de Conty) - fine XV sec.

Utilizzati sin dall'epoca antica (hortus e viridarium), i giardini si diffusero in età medievale aggiungendo il termine gardinium, latinizzazione del germanico gart, da cui deriva l'attuale giardino.

L'erbarium invece faceva riferimento a piccoli orti di monasteri e castelli dove venivano coltivate le erbe per uso farmaceutico o culinario. Il pomarium definiva un frutteto che poteva fungere da luogo di svago.

Si modifica e si arricchisce così lo scenario agricolo-ricreativo del l'epoca che risponderà alle esigenze e alle tipologie e il livello sociale in cui essi vi si collocano. 


Il verziere

Una celebre descrizione di un giardino e dei giochi d'amore in stile raffinato è riportato in un poema della cultura cortese. Le roman de la rose, scritto da Guillaume de Lorris (nel 1200-1240 circa), narra della conquista della dama tanto desiderata quanto sfuggente. Ed è l'amata a dischiudere al cavaliere l'accesso impenetrabile:

" Senza dire parola entrai nel giardino; sappiate che credetti di entrare nel paradiso terrestre; il luogo era così delizioso che pareva essere di natura celeste [...] mi spinsi avanti e poi a destra, lungo un piccolo sentiero pieno di finocchio e di menta [...] Mi colse il desiderio di vedere il verziere di farne il giro e ammirare i bei lauri, i pini, i noccioli e i noci. Le danze erano già finite e gran parte dei danzatori erano ormai andati all'ombra a prendere il fresco e far la corte alle loro amate"

Un secolo più tardi Boccaccio narrò, nel Decameron, dei giardini che andavano sorgendo sulle colline fiorentine e nella terza giornata il poeta descrive il verziere di una tenuta dove insieme ad un gruppo di amici si era rifugiato per sfuggire all'epidemia di peste che colpì Firenze nel 1348.

Il barco

Esponenti della monarchia, del clero e grandi feudatari, ebbero anche, per diletto delle loro corti, parchi recintati che raccoglievano animali (lepri, cervi, conigli, uccelli) per il solo piacere di ammirarli.

Entrò così in uso il termine di barco, denominazione estesa anche ai parchi venatori, recinti che racchiudevano terreni boschivi destinati alla caccia, situati per lo più lontano dalla città.

Il terreno di caccia di un nobile con un lago ( miniatura, da una traduzione francese del testo di Pietro de' Crescenzi, 1485 circa)

Alcuni parchi raggiunsero dimensioni ragguardevoli e contenevano un panorama di accorgimenti destinati a sorprendere gli ospiti. Era l'emblematica creazione di una nobiltà che attraverso le Crociate era entrata in contatto con la tradizione dei giardini islamici e bizantini, riportando così l'effetto suggestivi dei paradeisos in Europa. E' il caso del "Piccolo Paradiso", un hortus conclusus di grandissime dimensioni dove il conte Roberto II d'Artois creò nel borgo di Hesdin un celebre parco delle meraviglie con peschiere, gabbie per uccelli, giardini, campi per tornei e soprattutto alcuni "automi", ossia statue animate da meccanismi capaci di lanciare (a mo' di scherzo) schizzi d'acqua e polvere di farina sui visitatori, mentre altri li invitavano col movimento delle braccia a dirigersi verso il padiglione del banchetto.

Queste fantasiose soluzioni anticiparono quelle che nel rinascimento sarebbero diventate di comune utilizzo nei grandi giardini nobiliari.

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18.Progettazione della natura (ep.5): il Medioevo (prima parte)

Pubblicato il 9 novembre  2024 alle ore 8:46

Dopo la morte dell'ultimo imperatore romano, il potere del grande impero era ormai cessato. In crisi da diverso tempo (dal III sec circa), il mondo occidentale antico aveva concluso il suo percorso nella storia. Le attività agricole a base familiare erano state cedute ai grandi proprietari proprio a causa delle strette fiscali. L'estendersi del latifondo si affiancò ad un drastico crollo demografico e l'impero ormai indebolito non riuscì ad ostacolare le invasioni barbariche.

La crisi causò un lento regredire, e ben presto vennero dimenticate anche le tecniche colturali, favorendo il declino dei paesaggi che si ridussero a paludi, terreni incolti e boscaglia. Con l'avanzare delle selve, la caccia divenne risorsa economica per la produzione alimentare.

Le vaste tenute fondiarie di epoca romana furono, per così dire, spartite tra governanti barbari, ecclesiastici e clan familiari emergenti, le quali diventarono piccoli borghi rurali fortificati; le signorie locali.

Il monachesimo

Il monachesimo occidentale ebbe inizio con la creazione del cenobio di Monte Cassino a opera di San Benedetto (480-540), il quale inserì, nella regola dell'ordine da lui fondato, l'enfasi sul valore del lavoro manuale visto come forma di preghiera.

L'evoluzione del modello benedettino portò alla realizzazione di un insieme di spazi multifunzionali ben organizzati che definivano le attività del monastero.

Qui a seguire possiamo analizzare la disposizione in pianta degli ambienti di una delle prime grandi realtà monastiche: il monastero di San Gallo in Svizzera. La pianta propone la precisa organizzazione di spazi funzionali e annessi spazi verdi per una comunità di circa 150 membri.

La chiesa occupa la posizione centrale (in giallo), la biblioteca (rosso), il cimitero (viola) l'orto e il pollaio (verde), circondata dagli ambienti dei servizio, dalla residenza dell'abate, la scuola, l'infermeria... e il chiostro (blu).

Pianta di San Gallo, Svizzera, 820 circa

Il chiostro

Il termine chiostro deriva dal latino claustrum, cioè chiuso, derivante dalla tipologia del giardino interno delle case romane dove il peristilio  circondava uno spazio verde interno, protetto dagli sguardi esterni.

Il chiostro costituiva uno spazio privilegiato dedicato alla vita spirituale e meditativa dei monaci. Sulla scia degli usi greci e romani, anche la tradizione cristiana utilizzò lo spazio verde come luogo di incontro, di insegnamento e meditazione.

A partire dal VIII-IX secolo tutte le maggiori costruzioni ecclesiastiche ebbero dei chiostri, i quali portavano in sé una valenza simbolica celando un messaggio metaforico: l'hortus conclusus proponeva infatti l'immagine del Cantico dei Cantici, dove lo sposo eleva alla sua sposa un'ode amorosa che include appassionati apprezzamenti: "Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di melegrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro con nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo, con ogni specie d'alberi di incenso; mirra e aloe, con tutti i migliori aromi. Fontana che irrora i giardini, pozzo d'acque vive, e ruscelli sgorganti dal Libano".

Immenso come il mare - Daniela Donatone


17. La creazione dell'uomo: Viaggio nella Pittura con Immagini Bibliche (ep.2)

Pubblicato il 2 novembre  2024 alle ore 7:43

Genesi 2

Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.

Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. 

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male [...]

Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». 

Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. 

Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 

Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. 

Allora l'uomo disse:

«Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall'uomo è stata tolta».


L'immagine della Creazione di Adamo è da collocarsi subito dopo la scena della separazione della terra dalle acque e prima della crezione di Eva. Diverse fonti lasciano pensare che questa scena sia stata una delle ultime ad essere completata da Michelangelo.

L'immagine di Dio

La figura del Dio Creatore è riportata sulla destra, proteso verso Adamo mentre abbraccia una moltitudine di cherubini che lo attorniano avvolti dal suo mantello. La sua forma è stata associata a quella di una scatola cranica, proprio a voler sottolinearne la Sua capacità di ideare, di realizzare, che creare, appunto. In studi più recenti, è stato altresì evidenziato che il mantello possa ricondurre simbolicamente alla forma di un utero, e quindi alla sua funzione generativa.

Il cherubino sotto il suo braccio ricorda una figura femminile, probabilmente si tratterebbe di Eva, nell'attesa di essere offerta ad Adamo.

L'immagine dell'uomo

Disteso sul fondo naturale di un pendio, Adamo è "mollemente" adagiato sulla terra appena creata. Nudo, puro, giovane, nel pieno della salute, rappresenta esteticamente proprio quella perfezione "carnale" dell'immagine di Dio: "a sua immagine e somiglianza".

Il suo atteggiamento è passivo, il suo sguardo è spento, il disegno della pupilla appare impercettibile proprio perchè in attesa di vita. Il suo unico gesto "attivo" è quello di sollevare la mano verso il Creatore, manifestando una volontà,  in un tentativo di richiesta, di contatto, in attesa di quell'input vitale che solo l'Altissimo può donargli.

La scintilla

Non è indifferente che le dita di Dio e quelle di Adamo si avvicinino senza toccarsi: il piccolo spazio che le separa sottolinea la differenza tra umano e divino. In quell'infinitesima distanza tra l'uomo e Dio si materializza il "mistero" dei sentimenti che descrivono il Creato e il Creatore. In quello spazio piccolissimo c'è tutta la tensione umana e carnale che anela a Dio e c'è anche l'intenzione e lo sguardo attivo di un Dio sempre capace di protendersi verso l'uomo per donare quel tocco, la scintilla che fa partire (o ripartire) la vita.

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16.Progettazione dello spazio scenico (ep.4): Madame Butterfly

Pubblicato il 25 ottobre 2024 alle ore 19:17

In questo episodio tratterò il tema della progettazione dello spazio scenico da un punto di vista più tecnico.

Partendo dall'analisi della trama e dall'ascolto delle melodie dell'opera, vi racconterò in breve i passaggi che mi hanno portato a progettare la scenografia teatrale per la Madame Butterfly.

Villa Imperiale di Katsura, 1620 - Kyoto

L'opera si svolge in tre atti sulle meravigliose musiche del grande maestro Giacomo Puccini. Un melodismo puro e semplice e la lentezza quasi esasperante, raccontano ogni turbamento della protagonista; il racconto è dilatato come attraverso una lente di ingrandimento che si focalizza sulle vicende della vita di Butterfly. Così come la sua vita, anche lo spazio scenico si aprirà fino a quasi decomporsi, a svuotarsi, lasciando la scena nell'oblio della morte.

Una storia di amore e di illusione, di promesse e di abbandono, di attesa e di speranza, di silenzio e di dolore.

Una volta analizzata la trama dell'opera e identificati i luoghi fisici e psicologici della scena, sono stati selezionati gli elementi chiave dello spazio scenico.

La Casa

L'ispirazione degli interni della casa prendono spunto dalla Villa Imperiale di Kyoto, costruita per il Principe Imperiale Yoshito Katsura intorno al 1620. Essa è caratterizzata dall'armonia tra interno ed esterno consentito da divisori mobili che modificano gli ambienti. Si tratta di pannellature di tela e carta decorata su struttura lignea, posizionate su guide a soffitto e a pavimento. Ambienti affascinanti ed eterni, puliti e liberi, severi e silenziosi così come il rigore della dinastia imperiale imponeva.

Villa Imperiale di Katsura, 1620 - Kyoto

Il Mare

Il pavimento del palco viene rivestito in pannelli effetto alluminio, lasciando una fascia centrale libera per far scendere la trave dall'alto (nell'ultima scena).

Il Tempo

La trave è costituita da una struttura metallica con telo in polipropilene grigio lucido. Ha una lunghezza di 16 m e si estende per tutta la larghezza della scena. La sua lenta discesa rappresenta lo scandire del tempo e il peso che esso rappresenta. Una traduzione dell'angoscia della vita che, con le sue misteriose vicissitudini, inesorabilmente schiacceranno la protagonista fino alla morte.

Il Cielo

Le emozioni di Madame Butterfly sono il colore della storia. Il cielo quindi è il vero protagonista della scena. Immagini e colori sono proiettate sul fondo e dal fondo, donando una tridimensionalità estrema allo spazio teatrale.


Elaborati grafici (*)

(* per vedere tutti gli elaborati grafici di scena clicca su questo link!)

"Il cielo è un luogo poetico

capace di trasmettere,

con forme e colori,

i sentimenti della natura."

Daniela


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15.La creazione del mondo: Viaggio nella Pittura con Immagini Bibliche (ep.1)

Pubblicato il 19 ottobre 2024 alle ore 8:05

Inizia con questo articolo il primo episodio di un lungo viaggio che ci porterà nei luoghi più interessanti della Bibbia, dove scopriremo dettagli e nuove prospettive che potranno sorprendere raccontando le suggestioni della storia dell'uomo, dell'artista e del tempo.

La creazione del mondo, 1508-1512, 280x570cm - volta della Cappella Sistina, Vaticano, Roma

Genesi 1

In principio Dio creò il cielo e la terra. 

La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu. 

Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. 

Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.
Dio disse: "Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque". 

Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. 

Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Dio disse: "Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l'asciutto". E così avvenne. 

Dio chiamò l'asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. 

Dio disse: "La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che fanno sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la propria specie". E così avvenne. 

E la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie, e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. 

E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
Dio disse: "Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni e siano fonti di luce nel firmamento del cielo per illuminare la terra". E così avvenne. 

E Dio fece le due fonti di luce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per governare la notte, e le stelle. 

Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 

e per governare il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. 

E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
Dio disse: "Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo". 

Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. 

Dio li benedisse: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra". 

E fu sera e fu mattina: quinto giorno.
Dio disse: "La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e animali selvatici, secondo la loro specie". E così avvenne. 

Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la propria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona.

GENESI 1

Collocato al centro del trittico della creazione e del maestoso affresco della volta della Cappella Sistina, questo affresco presenta Dio sotto un duplice aspetto: di un potenza quasi terrificante quando viene rappresentato di faccia, con le braccia che congiungono la luna al sole, a sottolineare l'onnipotenza e la prodigiosa capacità Creativa, di carattere diametralmente opposta la solitudine nella sua rappresentazione di spalle.

Dio visto di spalle

Facendo germogliare la vegetazione all'angolo inferiore a sinistra, Dio ha voltato le spalle agli uomini, (al clero?).

non era consuetudine rappresentare Dio in questo modo; la sua posizione è fluttuante, Dio aleggia sul mondo, sorvola in altre direzioni perché il suo sguardo è dappertutto. Eppure esso è rappresentato in tutta la sua "umana" essenza, fragile, carnale... senza quasi pudore. Dio in questa rappresentazione è "uomo", con la pianta dei piedi ben rappresentata, elemento pittorico assolutamente singolare.

Il sole al centro

Una sfera di fuoco al centro è una dimensione fortemente pagana, che mal si collocherebbe in una rappresentazione religiosa. Michelangelo rappresenta Dio con le braccia aperte (come in croce), mentre indica i due astri, il sole e la luna. Dio è collocato tra due centri di luce, Dio è al centro.

Le figure intorno a Dio

Il ragazzo nudo rappresentato alla "sua destra" è la premonizione di Cristo che impara dal Padre. Dietro di lui una figura femminile che simboleggia lo Spirito Santo.

All'ombra del braccio di Dio, alla sua sinistra, sono rappresentati due misteriosi personaggi. Il primo è avvolto in un un drappo grigio-azzurro e guarda in basso mentre l'altro li solleva. Entrambi sembrano sondare con interesse e stupore (quasi con paura) la magnificenza del creato.

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14. Progettazione della natura (ep.4): il giardino islamico

Pubblicato il 12 ottobre 2024 alle ore 8:17

La penisola arabica è una regione  priva di fiumi permanenti, con un indice di piovosità tra i più bassi del pianeta. Essa ospita il maggior deserto di sabbia al mondo (il Rubʿ al-Khālī, "Il quarto vuoto", inteso come "quarta parte" dopo cielo, terra e mare) e, sebbene abbia una superficie coltivabile ridottissima, presenta un'antica tradizione agricola, soprattutto nell'area sud-occidentale, l'attuale zona dello Yemen.

Quel territorio fu prospero per coltivazioni e fiorente per commerci quando era abitato, tremila anni fa, dai Sabei, un popolo di cui si conosce ancora poco. Essi realizzarono tremila anni fa una città ad est dell'attuale Sana'a, Marib. Negli antichi miti, questa era la capitale del regno della regina di Saba, il leggendario personaggio che si recò a Gerusalemme per incontrare il saggio Salomone con gran seguito di cammelli carichi di spezie, patrimonio prezioso e fortuna del territorio: coltivazione di essenze rare, piante da cui si ricavavano incenso, mirra, sostanze aromatiche per l'imbalsamazione ma anche offerte per il contatto con il divino. Il reddito ottenuto da queste coltivazioni e soprattutto dal commercio stabilito con altri territori verso l'Egitto e più in alto verso il Mediterraneo, consentì di organizzare le coltivazioni sul territorio realizzando sistemi basati sul controllo delle acque meteoriche: una grande diga raccoglieva in un bacino l'acqua dei torrenti stagionali delle montagne vicine.

Marib, resti della diga VI sec. a.C.

La diga, di cui restano gli elementi strutturali di dimensioni ciclopiche, era un'opera spettacolare che costituiva una delle meraviglie del mondo antico; il Corano racconta del crollo (V sec. d.C.) di quel capolavoro di ingegneria idraulica attribuendolo ad una punizione divina sotto forma di diluvio, rivolta ad un popolo di adoratori di astri. 

L'espansione islamica

A seguito di quella devastante distruzione della diga, in tutto il territorio dello Yemen le popolazioni appresero di poter utilizzare gli elementi atmosferici più sottili: la semplice umidità notturna e la brina, raccolte attraverso complessi sistemi di minute canalizzazioni riuscirono a risolvere i problemi legati all'irrigazione e al sostegno del popolo.

In questo clima di rinascita, in questo ambiente sempre in fermento, si sviluppò la nuova religione predicata da Muhammad, da noi conosciuto come Maometto (571-632 circa). Alla sua morte, la religione da lui introdotta era confinata ad alcune popolazioni della penisola arabica ma poco più di un secolo dopo, a seguito dell'espansione dell'impero esteso lungo le coste del Mediterraneo (raggiungendo le coste dell'Atlantico), l'islam si diffuse ampiamente. Fu un processo di conquista militare del quale va sottolineato un certo grado di tolleranza per le culture delle popolazioni sottomesse. Gli Arabi non provarono a cancellare il sapere dei Paesi conquistati e non obbligavano i popoli ad arabizzarsi.

Spingendosi ad Oriente, gli Arabi scoprirono le forme di architettura e del  paesaggio della millenaria tradizione persiana; nel Mediterraneo orientale occuparono i territori bizantini dove prosperavano metropoli come Alessandria e Damasco. Nel Nord Africa e in Spagna vi trovarono rovine imponenti di città ellenistiche e romane.

La cultura islamica riuscì a sintetizzare le diverse influenze, riuscendo a sviluppare una propria architettura, anche del verde.

La pianta quadripartita: i paradeisos

Una delle suggestioni più importanti che gli Arabi assunsero per le proprie architetture paesaggistiche fu quella dei giardini dei grandi complessi palaziali appartenuti ai regnanti della dinastia persiana. Si trattava di recinti e parchi di forma geometrica regolare con canalizzazioni per l'irrigazione e corredati di padiglioni per la sosta lungo i percorsi.

I paradeisos erano giardini a pianta quadripartita (icona del giardino islamico, chahar bagh che significa quattro lotti)

Quattro giardini che richiamavano la concezione cosmica dei quattro elementi originari: fuoco, aria, acqua e terra, ma che si collegava anche ad un'antica convinzione ripresa sia dal Corano che dall'Antico Testamento, e cioè che dal Paradiso sfociassero quattro fiumi.


"Quando il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata - il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e nessuno lavorava il suolo[...]

poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato.

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare[...]

Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi da lì si divideva in quattro corsi[...]

Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino dell'Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse".

(Genesi)

"La descrizione del Giardino che è stato promesso ai timorati di Dio è così:

vi saranno fiumi d'acqua incorruttibile, e fiumi di latte dal gusto immutabile, e fiumi di vino delizioso a chi beve, e fiumi di miele purissimo. Ed ivi essi godranno d'ogni frutto, e del perdono del Signore."

(Corano)


La fortuna della pianta quadripartita non si spiega solo per un significato religioso: quel tipo di impianto, per via della sua composizione assiale, ben si prestava ad esaltare la dignità regale. La simmetria dei percorsi, la gerarchia ottica degli spazi si adattavano a celebrare la sovranità del regnante.

Il giardino a composizione cruciforme si diffuse in tutte le terre conquistate dagli Arabi: comune a tutti è lo spirito di serenità, l'ordinata regola geometrica compositiva, l'attenzione all'acqua in tutte le sue forme con fontane sonore, cascate, bacini e canali.

Giardino di Shahzadeh Mahan - fine XIX secolo (Kerman, Iran)

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13. L'arte del packaging: Christo e Jeanne-Claude

Pubblicato il 5 ottobre 2024 alle ore 8:12

Siamo nell'era dell'acquisto online, di questo siamo tutti ormai consapevoli. Abbiamo certamente avuto almeno una volta l'occasione di scartare il nostro pacchetto ancora caldo di spedizione con quell'entusiasmo giunto ormai al culmine della sua espressione nei giorni trascorsi dopo il click della transazione...

C'è qualcosa di inspiegabilmente affascinante in quell'imballaggio: uno scatolo di forma regolare contiene al suo interno il nostro oggetto (di attesa), di cui ancora non riusciamo a scorgere la forma, il colore, la sua essenza. Esso è protetto da strati di materia che lo proteggono, racchiudono, ...celano. 

Celare per trattenere

Questa inquietudine è parte di un processo intellettuale e creativo che ha caratterizzato un artista dello scorso secolo e che ha fatto del packaging la sua espressione artistica: Christo. A partire dalla fine degli anni 50 e poi insieme alla moglie Jeanne-Claude, la ricerca di questi due grandi artisti divenne storia scritta nel tempo, in ogni parte del mondo.

Christo - Wrapped Box, 1966

I primi progetti impacchettati di Christo raccontano dell'atmosfera respressiva del suo passato e della difficile infanzia nella Bulgaria comunista. Le sue creazioni vogliono trasferire un senso di chiusura, di oppressione. Le corde che tengono chiusi i pacchi sono una trappola mortale che immobilizzano, trattengono, chiudono.

Celare per rivelare

Il sodalizio artistico con Jeanne-Claude segna l'evoluzione di un concetto, lo stravolge, lo porta "fuori" in larghissima scala, associando queste performance artistiche anche alla corrente  Land Art.

C'è da fare una piccola precisazione a riguardo, perché nella Land Art è più propriamente l'ambiente stesso in quanto "opera artistica naturale" ad essere arte... il packaging ambientale è una performance ambientale ma rimane packaging di un oggetto.

La dimensione monumentale delle loro performance artistiche ha naturalmente coinvolto pubblico e volontari del posto che hanno preso così parte al processo artistico, divenendo essi stessi parte dell'opera.

La ricerca sempre all'avanguardia di questi artisti è costantemente stata percorsa da una interiore, profonda energia creativa e da un instancabile impegno nel superare l'ostracismo burocratico  e lo scetticismo politico. Questo forse risulta l'elemento di partenza e di arrivo delle loro opere. Un sistema che a volte "intrappola" è un sistema "oggetto", impacchettabile appunto.

Pur restando impenetrabili i sentimenti che spingono un artista a fare ciò che pensa, è interessante provare a portare lo sguardo verso pensieri e punti di vista nuovi.

Celare per custodire

I progetti di Christo e Jeanne-Claude hanno la forza di confrontarsi con il paesaggio, dialogano con la natura, alimentano la coscienza del reale non solo per  rivelarne la bellezza o riaffermarne il valore, ma ne testimoniano altresì la fragilità e il carattere effimero propri delle cose dell'uomo.

The Floating Piers - Lago d'Iseo 2016

La loro arte è una miscela unica di autoaffermazione e modestia. Non firmano i progetti finiti, eppure ciascuno di essi è subito riconoscibile come una loro creazione. Una volta che hanno impacchettato una struttura o sono intervenuti in uno spazio, saranno per sempre associati a quella struttura o a quello spazio.

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12. L'arte del caso: il Dadaismo

Pubblicato il 28 settembre 2024 alle ore 9:28

La necessità di esprimere ciò che abita l'uomo e che regola i suoi pensieri è da sempre la caratteristica che definisce la sua stessa essenza. L'uomo è capace di provare emozioni, di analizzarne i movimenti, elaborare quello che esse suscitano e come modificano il proprio stato d'animo.

L'arte è da sempre espressione di tutto questo. E' veicolo di comunicazione, e in qualche modo, come una fotografia, riesce a definire secondo i suoi criteri, uno stato emotivo eterno, capace di suggestionare per sempre.

Dalle rappresentazioni rupestri impresse sulla roccia nel paleolitico all'orinatoio di Duchamp, l'arte è da sempre capace di trasferire in "materia" tutto ciò che rappresenta il momento storico, culturale, sociologico del tempo. 

E' evidente che tra le due c'è in mezzo un lungo percorso che ha "strutturato" regole formali (insieme alla tecnica), che hanno permesso all'arte di rispondere a requisiti "artistici".

E ciò che accade a partire dalla prima guerra mondiale in poi decreterà la frattura con quei criteri formali che consentiranno ai nuovi artisti di raccontare qualcosa di diverso e con un nuovo linguaggio.

La "tensione" sociale

Tutte le Avanguardie, sono caratterizzate dalla volontà di raccontare il disagio e la precarietà di una condizione sociale che barcolla tra promesse e pericolo, tra propaganda e distruzione.

Tutto diventa relativo, anche l'arte. Essa perde la sua forma descrittiva, etica ed estetica, divenendo il veicolo per comunicare un senso che è evidentemente altro rispetto all'arte così come essa è intesa.

Il cubismo, il futurismo, l'astrattismo, il surrealismo, la metafisica, sono alcuni di questi nuovi linguaggi.

Fra tutte le Avanguardie storiche, il Dadaismo fu la più radicale. Nacque in tempo di guerra, contro la guerra e contro tutta la cultura che l'aveva generata, comprese anche le Avanguardie artistiche precedenti.

Nata in due distinti focolai (Zurigo e New York) nel 1915, fu un movimento caratterizzato da uno spirito di rivolta contro le istituzioni e i valori tradizionali, finendo per legittimare come procedimento artistico quasi ogni tipo di azione, mutando completamente la concezione estetica e lo stesso ruolo dell'artista.

Così come in precedenza i versi della poesia descrivevano le scene e le suggestioni di luoghi ed emozioni e così come la pittura dettagliava ombre e colori per trasmettere la profondità dei sentimenti, il linguaggio dadaista utilizzava la performance del caso; la guerra stava dimostrando che il progresso portava la società verso condizioni di vita diverse, imprevedibili. Tra gli esponenti del movimento dadaista è importante sottolineare il ruolo di Hugo Ball (imprenditore teatrale e poeta fuggito dalla Germania per non andare alle armi) che si rifugiò  in Svizzera e qui aprì un ritrovo, il Cabinet Voltaire dove avevano luogo improvvisazioni teatrali. Tra le mura di questo chiassoso locale strapieno di ragazzi poco più che ventenni, animati da uno spirito anarchico e goliardico si recitavano poesie senza senso, musiche e rumori cacofonici.

I Dadaisti non volevano proporsi come rivelatori di realtà nuove  ma come portatori di un nuovo modo di fare e di conoscere, un nuovo linguaggio appunto, fondato sul dubbio, sulla perdita di fiducia in qualsiasi sistema.

Hans Arp, Tristan Tzara, Hans Richter (Zurigo, 1917-18)

Nel Manifesto Dada di Tristan Tzara pubblicato sulla rivista Dada nel luglio 1918, si legge che il nome DaDa si riferiva alla coda della vacca sacra dei negri Kru, oppure era riferito al nome di una contrada d'Italia, o forse la doppia affermazione in lingua rumena e russa: DADA.

Nell'evidente volontà di confondere e lasciare nel dubbio, il movimento dadaista si diffonde nell'arco di pochi anni, contagiando diverse forme di espressione culturale.

Fare piazza pulita e ricominciare da zero con disincanto, ma anche con una creatività libera da ogni vincolo formale o etico.

A dispetto di quanti ancora oggi ritengono che i suoi ready-made  siano una provocazione banale e senza gusto, il Grande Vetro di Duchamp è un'opera complessa strettamente legata alla capacità di fare progettazione artistica. Ne emerge però un pensiero cinico: la vita è un moto meccanico di azione e reazione, casuale ed imperfetto, reso perpetuo dal costante desiderio di generare e dall'impossibilità di soddisfarlo una volta per tutte.

Molti studiosi hanno insistito su interpretazioni di carattere esoterico a cui peraltro l'autore non avrebbe mai risposto, sottolineando quanto possa essere tutto, in fondo, libero di qualsiasi interpretazione proprio perché scaturito dal caso.


L'arte non è più "arte". L'arte non è funzione di capacità artistiche.

Come una metafora, come un'allegoria.

L'arte non è nelle mani. L'arte è nella testa.

(Daniela)

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11. Proiezioni ortogonali

Pubblicato il 21 settembre 2024 alle ore 10:58

Le proiezioni ortogonali o di Monge, utilizzate particolarmente nei disegni tecnici, sono basate sull'impiego di piani di proiezione perpendicolari fra loro sui quali vengono inviati raggi proiettanti paralleli. Dette anche proiezioni parallele infatti, le proiezioni ortogonali permettono di rappresentare oggetti, elementi di architettura, parti meccaniche, (gatti), ecc. mantenendo inalterate le caratteristiche geometriche e le rispettive proporzioni delle cose rappresentate: un mezzo di comunicazione grafica insostituibile.

I tre piani ortogonali individuati intorno allo spazio dell'oggetto prendono il nome di piano orizzontale (P.O.), piano verticale (P.V.) e piano laterale (P.L) questi ultimi insistenti sulla linea di terra (L.T.) che li congiunge con il P.O.

L'oggetto raffigurato è un cubo posto a distanza da tutti i piani ortogonali per facilmente individuarne la sua forma nelle rispettive proiezioni. 

La proiezione sul piano orizzontale coincide con la vista dall'alto dell'oggetto, in architettura corrisponde alla planimetria di un edificio, mentre la proiezione sul piano verticale o laterale corrisponde alla vista frontale o laterale (i prospetti in architettura). Il quadrante senza nome che viene rappresentato in tutte le proiezioni ortogonali in basso a destra non rappresenta alcun piano di proiezione; su di esso infatti vengono esclusivamente "riportate" le linee di proiezione coincidenti con la linea di terra.

Tre punti di vista per leggere la realtà

Qualsiasi opinione può essere corretta se ben rappresentata. Ciò non implica che quella sia necessariamente la realtà.

Essa infatti ha bisogno, per essere compresa, di prendere forma attraverso il confronto tra diversi punti di vista. Graficamente ne sono sufficienti tre.

Proviamo ad analizzare questa immagine:

Leggiamo un'ellisse che circonda centralmente un rettangolo suddiviso a metà da una linea orizzontale.

Pur essendo ben rappresentato, le informazioni sono insufficienti per comprendere esattamente di quale oggetto si tratti nella realtà. Potrebbe essere un bottone? Il pulsante di un telecomando?

Provando ad analizzare la figura da un altro punto di vista, la curiosità comincia a far strada alla fantasia. Si nota che l'oggetto ha una dimensione allungata e che non sembra poter essere né un bottone né tantomeno un pulsante. Cosa sarà?

E' qui che si comprende l'importanza dell'associazione dei tre punti di vista per comprendere la realtà.

La dimostrazione sta nel fatto che ciascun punto di vista porta in sé informazioni diverse, che sono necessarie ma non singolarmente sufficienti per definire la realtà. Questo è indispensabile nella rappresentazione grafica ma lo è altrettanto nelle cose di ogni giorno. 

Il confronto, la sinergia, l'unione delle diverse opinioni possono, in maniera concorde, portare alla crescita della conoscenza, alla "pulizia" delle informazioni, alla trasparenza della comunicazione. 

"da che punto guardi il mondo tutto dipende"

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10. Progettazione dello spazio scenico (ep.3)

Pubblicato il 14 settembre 2024 alle ore 08:24

Così come è stato già narrato negli episodi precedenti, la progettazione dello spazio scenico non ha lo scopo di creare un "contorno" al racconto, una cornice alla storia. Lo spazio scenico non è uno sfondo. 

Progettare una scena ha la funzione di tradurre in forma la natura profonda della narrazione che si muove lungo la melodia del canto e dell'enfasi musicale.

Ho pensato così di dare spazio a questa "dimensione" portante lasciando spazio alla riflessione del musicista che vive la scena mentre racconta la musica.

Con gli occhi del musicista:  Andrea Ciullo primo fagotto dell'orchestra della Città Metropolitana di Bari,

LA TRAVIATA

(Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, ispirata alla Signora delle Camelie)

"Ascoltando la musica di Verdi, già dalle prime battute del preludio del primo atto, notiamo due atmosfere molto diverse e contrastanti: il tema "della tisi", nella tonalità di Si minore, dal carattere gelido e struggente, intonato nelle battute iniziali dagli archi. E subito dopo il tema dell'amore, nella tonalità di Mi maggiore: le note di "amami Alfredo" per intenderci."

Verona 2019 - Zeffirelli

"Anche il preludio del terzo atto inizia con il tema della tisi ma, a differenza di quello del primo atto, non converge più nella tonalità maggiore. Anzi, termina con un tristissimo Do minore, nei registri più gravi dell'orchestrazione. Segno che la speranza diventa sempre più flebile, e purtroppo la malattia di Violetta prenderà il sopravvento, portandola alla morte. È infatti con la morte di Violetta che si concluderà drammaticamente l'opera."

Verona 2019 - Zeffirelli

"Nel corso di tutta l'opera la musica è sempre strettamente collegata alla trama e al testo del libretto. Se ascoltiamo il celeberrimo "brindisi", eseguito tra l'altro molto spesso come bis in recital lirico-sinfonici, notiamo che la musica è gioiosa e frizzante, proprio come una coppa di champagne: "Libiamo ne' lieti calici, che la bellezza infiora... Tutto è follia, follia nel mondo ciò che non è piacer". È questo un vibrante inno alla vita e all'amore."

Verona 2019 - Zeffirelli

"La musica cambia completamente carattere se pensiamo, ad esempio, all'aria di Germont, nella quale Germont chiede a Violetta di lasciare suo figlio Alfredo. Qui la musica sottolinea la severità del vecchio Germont. Momenti particolarmente gioiosi e suggestivi sono quelli dei cori, che troviamo nella parte finale del secondo atto: i cori delle zingarelle e dei mattadori. La musica qui si sposa magistralmente con la scenografia, e anche con la bellezza dei costumi."

Verona 2019 - Zeffirelli

"Un contrasto musicale particolarmente stridente lo troviamo nel terzo atto, quando Violetta è in casa, sul letto di morte, divorata dalla tisi, mentre fuori tutta Parigi impazza per il Carnevale: è il momento del "Baccanale". Segue un bellissimo duetto di Violetta e Alfredo: "Parigi, o cara". È il momento della speranza. La speranza della guarigione di Violetta, e del ritorno alla vita. È un momento di grande raccoglimento, mirabilmente reso da Verdi con la tonalità di La bemolle maggiore, l'accompagnamento degli archi con il "pizzicato", e il raddoppio dell'oboe e del fagotto sulle parole "Parigi, o cara, noi lasceremo... dei corsi affanni compenso avrai". Di particolare bellezza il finale dell'opera."

Verona 2022 - Zeffirelli

"Violetta sta per morire, ma la musica diventa improvvisamente "leggera e soave": è il momento in cui Violetta finalmente si libera degli spasmi del dolore, e la sua anima si prepara a volare altissima nel cielo."


Franco Zeffirelli ha curato ben otto volte (nove con quella dell’Arena) la regia del capolavoro verdiano, dal 1958 a Dallas, con Maria Callas, al 2019 a Verona) realizzandone anche le scenografie, e nel 1983 ne ha diretto una versione cinematografica, con Teresa Stratas e Placido Domingo, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti, tra cui il BAFTA per la migliore scenografia (a Gianni Quaranta e Franco Zeffirelli) e i migliori costumi (a Piero Tosi).


Ho scelto di affiancare alle suggestioni del M° Andrea Ciullo alle immagini di scena del grande Zeffirelli per evidenziare quanto lo spazio scenico e lo spazio musicale siano un'unica dinamica che racconta la storia.

In questa scenografia è evidenziata la "severità" degli sfarzi e la sontuosità lussureggiante del piacere che fa da lontana cornice ad una storia d'amore.

Dello stesso scenografo e regista possiamo trovare "traduzioni" differenti dello stesso tema, a conferma di quanto una stessa narrazione possa essere raccontata in modi diversi.

 

Le due immagini si riferiscono alla stessa opera portata in scena al Teatro Colón di Buenos Aires nel 2017.

La dimensione del lusso è disegnata dai panneggi  sospesi che "decorano" in maniera quasi soffocante la scena. Il dolore del canto di Violetta è infatti quasi intrappolato in essi. 


Letture diverse dello stesso tema

Macerata 2018 - Svoboda 

La traviata “dello specchio” è uno di quegli allestimenti entrati a far parte della storia del teatro, così ricchi di fascino e buon gusto da risultare ancora smaglianti a quasi trent’anni dalla loro ideazione.

La scenografia fu pensata da Josef Svoboda nel 1992 proprio per il palcoscenico dell’arena maceratese ed è costituita da una serie di teli dipinti, poggiati a terra e sfilati via via da assistenti di scena, i quali riflettono la loro immagine su un grande specchio di forma irregolare, inclinato di circa 45 gradi, consentendo al pubblico una doppia visione della scena, frontale e dall’alto: un’idea semplice, ma geniale, che permette di superare l’idea tradizionale del fondale dipinto aprendo nuove prospettive di profondità e generando effetti di grande bellezza.

Un confronto tra punti di vista differenti che permette la doppia lettura della storia:

il lusso, la malattia, l'apparenza e l'amore.

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10. Progettazione della natura (ep.3)

Pubblicato il 7 settembre 2024 alle ore 08:56

Il giardino interno

Dalla tradizione romana dell'hortus, ovvero dell'appezzamento di terreno coltivato per il fabbisogno della famiglia, che affiancava l'abitazione, si passò alla realizzazione di uno spazio privato, prettamente domestico, che fosse dedicato all'intrattenimento e al riposo. A partire dal II sec. a.C. infatti, con l'aumento del costruito e della densità abitativa nelle città, l'abitazione romana aveva "allargato" lo sguardo su uno spazio centrale privato, che conteneva come un tesoro al suo interno, la natura, il verde: il viridarium.

Casa dei Vettii, Pompei - Vista giardino

Va sottolineato che la casa romana era un luogo di attività domestiche e pubbliche e il giardino costituiva un luogo polifunzionale, adatto quindi alla meditazione e al relax familiare e anche agli incontri conviviali attraverso i quali il proprietario cercava di dare un'immagine del proprio benessere a chi si recava a fargli visita.

Casa di Trebio Valente, Pompei - Distribuzione Interna

Un sito in cui è ancora possibile percerpire  il rapporto che esisteva fra la casa romana e il giardino domestico è Pompei

Superato il vestibolo si attraversava di norma un primo cortile minore, detto atrium, interamente (o parzialmente) scoperto, attorno al quale erano raccolte varie stanze; questo ambiente era pavimentato e fungeva da impluvium, spazio che aveva la funzione di raccogliere l'acqua piovana  (che scendeva dai tetti) in una vasca centrale e convogliarla in apposita cisterna sotterranea. Dopo la costruzione degli acquedotti, verso la fine del I sec. a.C., l'esigenza di raccogliere le acque meteoriche divenne sempre meno essenziale e l'impluvio divenne un'aiuola verde. Il tablinium (ambiente di rappresentanza) aveva la funzione di raduno, di primo incontro. In questa prima "stretta di mano", l'ospite aveva la possibilità di inquadrare la bellezza del giardino interno e ammirare l'eleganza e la ricchezza del padrone di casa che in questo modo mostrava e dimostrava il suo successo. 

La casa del Fauno

La più grande residenza della città di Pompei aveva due giardini in successione circondati da peristilio. Esso era caratteristica delle domus più nobiliari proprio perché gli incontri di rappresentanza potevano svolgersi percorrendo questo perimetro coperto che circondava il giardino e che lasciava ammirare da tutti i lati la bellezza della casa e del giardino.

Casa del Fauno, Pompei - Distribuzione Interna

Pompei è il luogo in cui il tempo si è fermato a causa del tragico evento dell'eruzione del Vesuvio. Per circa 1700 anni la storia di questa città e dei suoi cittadini è rimasta sigillata e congelata (per così dire), ricoperta sotto una coltre di ceneri e lapilli alta circa sei metri. Gli scavi continuano ancora oggi a portare alla luce nuove scoperte e chissà cosa ci riserva il futuro...

La corte interna

Immagina di poter inquadrare dall'interno dell'abitazione uno spazio esterno privato, discreto, luminoso e ricco di verde; nel silenzio di questo scorcio possiamo fantasticare percependo la raffinatezza di una scelta distributiva così geniale.

Lo spazio esterno, il verde, non è un perimetro marginale, di cornice. Esso è proprio il centro, il cuore. Lo spazio esterno è lo spazio più interno della casa. 

Masseria Borgo San Marco, Fasano - Giardino interno casa moderna  architetto Luca Pian e Sunflower - Treviso

Qui a confronto due diverse "dimensioni" della corte interna: la masseria e un piccolo giardino moderno.

La masseria è una tipologia architettonica di dimora rurale tipica pugliese che racconta delle attività agricole e di allevamento che si sono sviluppate dal Medioevo in poi. Si tratta di un confronto che permette di portare all'estremo il concetto di "giardino interno" ma che lascia intravedere, suppur con aria differente, il respiro della casa: la riservatezza, la luce e la natura.

"Respira un po' di anima in me

Respirami il tuo dono d'amore

Respira la vita...

Respira per farmi respirare"

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9. Progettazione del passaggio: l'enfilade

Pubblicato il 31 agosto 2024 alle ore 12:50

Il corridoio

Contrariamente a quanto si possa credere,  l'elemento per così dire "centrale" della progettazione d'interni è rappresentato proprio dall'ambiente più bistrattato di una distribuzione interna. Ad esso infatti è affidato il compito di distribuire correttamente gli spazi interni di un immobile, ma spesso la sua funzione si limita a quella di un percorso buio e vuoto che come un tunnel conduce alle stanze. 

Il corridoio infatti, è uno spazio senza anima. Si percorre quasi in apnea, lanciandosi a naso tappato da una stanza all'altra, compromettendo la continuità nella fruibilità degli ambienti, che diventano così punti isolati della casa.

Questa caratteristica distributiva è tipica delle abitazioni in condominio, relative ad immobili realizzati nel boom degli anni '60, quando l'edilizia  abitativa era in trepidante attività, a servizio (e non a favore) dell'espansione urbana.

Questa soluzione infatti ha permesso la realizzazione di numerosi alloggi con il maggior numero di stanze.

E' interessante a tal proposito immaginare che era divenuta un'esigenza indispensabile quella di creare molti ambienti chiusi e separati, proprio per contrastare il modello di "casa" che aveva accomunato le famiglie della generazione precedente che erano quasi spesso costituite da un nucleo familiare molto numeroso, i cui componenti erano costretti a condividere pochi spazi senza possibilità di privacy per alcuno.

Il disimpegno

La progettazione della nuova distribuzione interna consente di "rimescolare" le carte e favorire una fruibilità nuova allo spazio abitativo. Ritengo che questa sia la parte più complessa del lavoro di un progettista, perché è proprio in questo momento che si tracciano linee e nuovi divisori che già contengono tutta la progettazione e la sua realizzazione: arredamento, finiture, materiali, luce... 

In questa nuova distribuzione degli spazi interni è possibile individuare la funzione del disimpegno ridotta a piccolo "snodo" centrale che conduce velocemente agli ambienti della zona notte.

L'enfilade

In tutte le abitazioni esiste una gerarchia di luoghi definita dal livello di confidenzialità. Nessuno mai si sognerebbe infatti di accogliere un conoscente in una camera privata se non in quella di "rappresentanza". Un parente più stretto  avrebbe più comunemente accesso anche alla zona notte, lasciando comunque il rispetto e il giusto "riguardo"  per la camera da letto, da considerarsi indiscutibilmente il luogo più privato della casa.

Era così anche nei palazzi nobiliari dal 1600 in avanti, dove l'appartamento privato, collocato per l'appunto al piano nobile, costituiva la residenza vera e propria della famiglia e contava generalmente le migliori decorazioni interne di tutto l'edificio.

Caratteristica di questa tipologia abitativa è l'assenza di disimpegno o corridoio. Le camere infatti si susseguono in modo attiguo, e sono tutte comunicanti. Il passaggio dall'una all'altra è consentito attraverso porte (normalmente apribili con doppia anta a battente) che potevano essere lasciate aperte o chiuse a seconda del grado di "confidenzialità" dell'ospite. Maggiore era il livello sociale, tanto maggiore era la "permeabilità" dell'appartamento. 

Si narra che alcune udienze strettamente private avvenissero nella stanza da letto!

L'Enfilade è letteralmente una "infilata" di camere consecutive (quindi non indipendenti) che si dispongono in maniera lineare. Il fascino di queste aperture lasciate libere di essere focalizzate fino al punto più lontano è qualcosa di incredibilmente bello. Gli ambienti sono aperti ma circoscritti, sono uno e sono tanti e diversi, arredati spesso con diversi stili e con forniture di arredo variegate. Molti di questi appartamenti situati in palazzi storici di valore sono diventati in epoca recente il luogo più idoneo per mostre e musei.

E' evidente quanto la misura dell'abitare sia decisamente cambiata nell'ultimo secolo. Oltre alla diversa gestione degli spazi, in termini di dimensioni e  di regolamentazione igienico-sanitaria, sono cambiate le nostre abitudini. Resta comunque incantevole lo sguardo arioso e illuminato di questi percorsi "misteriosi". Le porte chiuse definiscono dei piccoli ambienti. Le porte aperte aprono alla comunicazione, al flusso. L'enfilade è un ambiente "opzionale", aperto, dinamico, che porta in sé un significato nascosto e profondo che non ha bisogno di essere definito... ma si rivela solo quando trovi la porta chiusa.

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8. Progettazione della natura (ep.2)

Pubblicato il 3 agosto 2024 alle ore 19:31

Nelle regioni mediorientali bagnate dai due grandi sistemi fluviali del Tigri e dell'Eufrate, la ricchezza d'acqua consentì la prima attività agricola su vasta scala a cui seguì una crescita e concentrazione della popolazione mai avvenuta in precedenza. Si diede inizio al fenomeno urbano nel IV millennio a.C. del regno sumero della bassa Mesopotamia, estendendosi fino alla zona più settentrionale della regione nel corso del III millennio.

Nacquero le prime città, con mura difensive e in coincidenza con la stabilizzazione delle popolazioni apparvero i più antichi spazi verdi legati alle città: aree che erano insieme frutteto, orto, giardino e che conciliavano le finalità alimentari con quelle ricreative.

E' in quell'epoca che appare la più grande città-stato del mondo, Uruk, situata a sud dell'attuale Bagdad e che nel IV millennio a.C. contava 50000 abitanti. Gli scavi hanno rivelato la presenza di grandi spazi verdi, irrigati con canalizzazioni provenienti dal vicino Eufrate e databili tra il II e il III millennio a.C. Nel clima caldi della bassa Mesopotamia, la fresca ombra di palmeti e frutteti dovette essere assai apprezzata anche perché al di sotto delle chiome, al riparo dal sole ardente  era possibile la coltivazione degli ortaggi.

Da un testo iscritto su un cippo (conservato presso il British Museum di Londra) si narrano le gesta di del re assiro Tiglath-Pileser I (1115-1077 a.C.) recanti l'orgoglio delle sue imprese. Il regnante infatti si vantava delle sue conquiste botaniche "dalle nazioni che ho reso tributarie ho portato il pino, il grande ginepro, che nessuno dei miei antenati aveva mai piantato, e li ho messi a dimora nei parchi delle mie terre, e ho portato alberi da frutta che non si trovavano nella mia terra, li ho portati e messi nei parchi d'Assiria".

Nelle figure: bassorilievo del re Tiglath-Pileser I (1115-1077 a.C.) e porzione di cippo con iscrizione letteraria

Scavi condotto nella capitale assiria di Ashur hanno portato alla luce un tempio esterno alla città, dedicato al dio Ashur e che si presentava ai suoi visitatori sotto forma di bosco. Costruito in prossimità del fiume Tigri, esso aveva un giardino con corte interna, cinto da una selva, costituita da circa 2000 fra alberi e arbusti piantati in filari regolari molto serrati. 

Nel I millennio a.C., in Assiria, la presenza di grandi giardini regali è attestata nella città di Nimrud, dove il re Ashurnasirpal II (883-859 a.C.) fece giungere un canale per l'irrigazione di un giardino piantato di vigne, meli, peri, cotogni, mandorli, cedri, cipressi, ecc. Molte specie erano state importate a seguito delle campagne militari. 

I suoi successori migliorarono ancora l'aspetto dei giardini regali arricchendoli di nuove coltivazioni e di specchi d'acqua.

Fu per  volontà del re Sennacherib che furono realizzate attrezzature per il sollevamento idrico, con un funzionamento analogo alla vite di Archimede (vedi sopra),  le quali portavano acqua a giardini terrazzati in cui erano state collocate piante esotiche.

Come è possibile rilevare da questo bassorilievo risalente alla metà del VII secolo a.C. realizzato a Ninive, il re assiro Ashurbanipal (668-627 a.C. circa), nipote di re Sennacherib, è raffigurato insieme alla regina nel corso di un banchetto che si svolge in un giardino.


I Giardini di Babilonia

Dalla presenza di questi primi giardini rimane una permanente traccia nel mito dei giardini pensili di Babilonia.

Situata a nord dell'attuale Bagdad, Babilonia era celebrata nel mondo classico per aver ospitato architetture verdi elencate fra le sette meraviglie dell'antichità. Combinando il sistema costruttivo delle ziggurat, monumentale emblema del legame fra terra e cielo, l'idea dei giardini pensili di Babilonia segnò l'immaginazione dei posteri per millenni.

La loro costruzione è attribuita al re Nabucodonosor II, in quale fece realizzare numerosi  templi, strade, palazzi per tutto il tempo del suo regno (605-562 a.C.). La tradizione vuole che quei giardini fossero una sorta di compensazione per la moglie Amytis, originaria della regione del Kurdistan, la quale provava nostalgia per le sue terre natali montagnose, coperte di boschi.

Il geografo greco Strabone (63 a.C. - 24 d.C.) che descrisse quei giardini nel I secolo a.C. narrò che: "Consistono di terrazze voltate innalzate una sull'altra e appoggiate si pilastri cubici. Questi ultimi sono cavi e riempiti di terra per permettere di piantarvi anche gli alberi più grandi. I pilastri, le volte e le terrazze sono costruiti in mattoni cotti e asfalto. Si ascende al piano più alto attraverso scale ai cui lati sono macchine idrauliche, attraverso le quali uomini, incaricati di questo, sono continuamente impiegati nel sollevare acqua dall'Eufrate".

Vista nord del palazzo di Nabucodonosor II, Babilonia

Nei primi decenni del XX secolo, durante scavi condotti nel sito di Babilonia, venne riconosciuto un complesso che potrebbe corrispondere a quello dei giardini pensili; ma la sua lontananza dal fiume mette in dubbio l'autenticità della scoperta. Si è anche ipotizzato che l'acqua provenisse non dal fiume ma da pozzi situati sulle terrazze di livello più alto, con profondità tale da raggiungere la falda, ma resta un'ipotesi opinabile a causa della difficoltà tecnica di ottenere la quantità d'acqua necessaria all'irrigazione continua.

Il maggior dubbio sull'effettiva esistenza dei giardini pensili di Babilonia viene dal fatto che mancano testimonianze  coeve, giacché queste giungono da autori greci e romani dei secoli successivi.

Ricostruzione grafica dei giardini

Un'immagine fantasiosa o verosimile che si sovrappone ai dubbi degli studiosi e di chi, come me, resta affascinato dalla bellezza di tanta creatività. Fosse anche solo un'idea, un simbolo o un un'invenzione mitologica, questo luogo esiste. Ed è sufficiente provare a chiudere gli occhi e sentire il profumo delle piante esotiche, dei fiori, l'odore della terra bagnata da acqua corrente che defluisce in canali e feritoie... il cinguettio degli uccelli tra le fronde rigogliose, il raggi del sole che disegnano linee di luce, bagliori accecanti e fresche ombre, e il passo dei sandali sui pavimenti di pietra...

Si sale, si scende. Ci si siede e ci si riposa. Ci si alza e si riprende il cammino.

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7. Progettazione dello spazio scenico (ep.2)

Pubblicato il 27 luglio 2024 alle ore 08:10

Progettare uno spazio scenico non è un semplice allestimento intorno ad una storia.

La narrazione e la musica non contengono uno spazio, ma definiscono l'aria, un respiro.

E come tale esso si espande rivelando le sue tensioni, le sue lentezze, i suoi dinamismi.

Il fascino dell'architettura teatrale è un misto di leggerezza e mistero.

L'intenzione celata in un'opera teatrale raggiunge la sensibilità del progettista che la traduce in un scena.

Questa non deve soffocare la fantasia o la libertà dello spettatore, deve solo contribuire alla scoperta del senso con allusioni, nuove suggestioni, atmosfere...

Uno degli scenografi che maggiormente ha contribuito alla mia ricerca è Josef Svoboda. Artista cèco contemporaneo (1920-2002) ha raccontato nelle sue numerose scenografie le suggestioni di opere classiche e moderne, elaborando effetti sempre nuovi.

Qui sopra ho riportato un'immagine dai Vespri Siciliani (Parigi 1974) e del Nabucco (Zurigo 1986), opere di Giuseppe Verdi.

Ho voluto accostare due opere dello stesso autore, portate in scena intorno alla metà dell'800. Entrambe (come molti temi che caratterizzano l'autore) raccontano le vicissitudini storiche e politiche di società instabili, di popoli in rivolta, di diritti violati e in questo ci sono sentimenti di amore e di rancore, di promesse e di sacrificio.

In entrambe le scenografie, è possibile osservare l'elemento centrale che è la scala. Essa è traduzione di dislivello, gerarchìa, ascesa, fatica, distanza. E'  un elemento fortemente caratterizzante le opere di Svoboda, ma in queste due opere è evidente quanto l'elemento architettonico sia "chiave di lettura" di un concetto molto ampio, quasi criptico.

Nei Vespri Siciliani è sottolineata la dimensione mistica, leggera, con i controluce (Svoboda ne è stato maestro) che enfatizzano volumi e ombre; la scala è quasi aria.

Nel Nabucco invece, lo stesso elemento è vuoto nella scultura, è passaggio, collegamento. La scenografia (vedi foto a seguire) è composta da elementi movibili, che modificano lo scenario con il progredire della storia, degli eventi. La presenza massiccia di un elemento architettonico così dichiaratamente strutturale sottolinea l'imponenza politico-culturale narrata da Verdi nel Nabucco.

Lo spazio scenico è composto da volumi  che possono spostarsi creando nuove geometrie, nuovi scorci, nuove prospettive, dando così la percezione che la narrazione sia completamente "avvolta" e definita dall'architettura.


Henrik Ibsen, La donna e il mare (Piccolo Teatro, Milano 1991)

Per rappresentare il dramma di una donna legata ad un elemento (il mare), Svoboda sceglie di utilizzare elementi sì descrittivi ma liberi, quasi fluttuanti. L'acqua, il cielo, i paesaggi, tutti vengono travolti da luci e colori intensi, saturi, "abbattuti" da fortissimi controluce e ombre contrastanti. Nel suo dramma, "La donna e il mare", Ibsen, narra la tribolazione di una donna che attende un misterioso amore lontano, sconosciuto, che è contrastato dai sentimenti che prova per il marito, legame sicuro e stabile. I livelli psicologici del dramma hanno sfaccettature di tipo cultuale, filosofico, politico, tra moralismo e poesia.


"Non saprei dire che cosa mi eccitasse di più, se lo spazio magico ritagliato dal resto del mondo, oppure i testi favolistici in cui dopo varie peripezie era sempre il bene a vincere, o ancora il gioco delle luci"  (J. Svoboda)


"Hop, hop, hopCom'è misteriosa la leggerezzaHop, hop, hopÈ una strana cosa, è una carezzaChe non vuoiHop, hop, hopButta via il dolore, la pesantezzaHop, hop, hopCerca d'inventare la tua leggerezzaE volerai

Anche per oggi non si volaUna folla enorme che mi tira per le bracciaChe mi frena, una folla che mi schiacciaCon tanti parenti abbarbicati, amori attaccatiE tanti problemi e tante zie sempre malateChe risate!

Questo pacco di coscienzaCome lo sento, mi dedico a tuttiCon la mia riconoscenza..."

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6. Dalla Bellezza alla Perfezione

Pubblicato il 20 luglio 2024 alle ore 17:31

Dal 500 circa al 323 a.C., dallo scontro con la potenza persiana alla morte di Alessandro Magno, il popolo greco raggiunse l'apice della sua civiltà. Nella seconda metà del V secolo a.C. si parla di  “età periclea” perché in quel periodo Pericle era il politico più influente di Atene e a sua volta Atene era la pòleis più potente di tutte. 

Le pòleis erano effettivamente città-stato, autonome l’una dall’altra e governate ciascuna dai propri cittadini. 

Il successo storico-politico di Pericle era il risultato di tre elementi fondamentali che pur nella loro individuale forza riuscivano a fondersi l'uno con l'altro, rendendo estremamente solida la potenza ateniese: l’imperialismo, la democrazia radicale e lo sviluppo culturale.

Prendendo questa breve introduzione come contestualizzazione storica, trascurando per minore competenza gli aspetti politici, voglio soffermarmi sullo sviluppo culturale che caratterizzò questo periodo e del massimo splendore che raggiunse Atene in tutta la sua storia. La città infatti divenne capitale della filosofia, del teatro, dell’architettura, della poesia, della scultura.

Il Bello è Bello

Dieci secoli circa, dal primo millennio alla metà del I secolo a.C., costituiscono l'amplissimo arco di tempo riferibile alla produzione architettonica greca. In particolare la fase centrale dal VI sec. alla metà del IV sec. a.C. detta classica, ha prodotto capolavori di altissimo livello, considerati in seguito come modelli ideali di perfezione.

Platone sosteneva che il bello è bello quando partecipa dell'idea di bellezza, considera la natura opera divina, esalta il valore della poesia quando è frutto di vera ispirazione interiore.

Gli architetti così definiscono i loro templi non secondo schemi rigidi prestabiliti, ma armoniosamente, lasciando intatta la bellezza della natura, della quale intuiscono la sacralità, facendo di quella suggestione un'architettura poetica.

Le pòleis sono avversarie sul piano politico ma non su quello religioso. Lo spazio del tempio infatti è luogo sacro, e in quanto tale gode di una mistica dimensione di extraterritorialità. Pertanto la cura architettonica dei templi diventa nel corso dei secoli motivo di ricerca e perfezione, manifestazione di una sublimazione interiore e di pace, caratterizzando uno stile al Bello che contagiò i diversi livelli della società.

La ricerca della Bellezza nell'architettura

Il processo evolutivo della perfezione geometrica in campo architettonico si può tradurre nella modifica (nel tempo) delle proporzioni in pianta e in elevato dei templi. A partire dal tempio di Era a Samo, l'Hecatompedo, inizialmente costituito da uno spazio rettangolare con sostegni centrali lungo l'asse longitudinale. 

In un secondo momento viene circondato da una fila di colonne che creano un passaggio graduale tra spazio esterno e interno.

In un terzo stadio si elimina la fila di sostegni interni, ottenendo la totale fruibilità dello spazio interno.

L'altare posizionato su un lato però ancora manifesta un principio di spazialità interna ancora da risolvere.

Un nuovo linguaggio

Dopo un lungo processo di ricerca frutto di profonde meditazioni ideali, estetiche, funzionali, basati sul sistema strutturale trilitico (due sostegni verticali che sorreggono un elemento orizzontale chiamato architrave), gli architetti definiscono i primi schemi tipologici di un nuovo linguaggio formale.

Il tempio presenta una cella (naos) contenente la statua della divinità, che costituisce il nucleo di tutto l'edificio.

A questa possono essere associati altri spazi  quali un portico nella parte anteriore (prònao), un locale per il tesoro, ancora un portico nella parte posteriore (opistòdomo).

Il tempio viene chiamato in antis quando presenta sul davanti un prolungamento dei muri laterali longitudinali della cella o doppiamente in antis quando questi prolungamenti si riscontrano anche nella parte posteriore. Prostilo quando presenta un portico anteriore, anfiprostilo quando ha anche il portico posteriore. Inoltre può essere circondato da una fila di colonne (perìptero) o da due file di colonne (dìptero) ovvero può presentare semicolonne addossate alle pareti alla cella (pseudoperìptero). Va infine ricordato che secondo il numero delle colonne sulla fronte di accesso il tempio rettangolare viene chiamato ad esempio tetrastilo, pentastilo, esastilo, eptastilo, octastilo e così via.

Il themenos è l'area esterna attigua in cui i fedeli si muovono e pregano seguendo i perimetri accidentati del terreno.

Caratteristiche della struttura

Prima di arrivare alla realizzazione in pietra, gli architetti avevano realizzato templi con i vari elementi componenti lignei. Le metope e i triglifi vennero ideati oltreché per qualificare e aumentare la magnificenza della struttura, probabilmente per coprire rispettivamente  gli spazi vuoti e le testate delle travi della struttura di copertura, proteggendole così dalle intemperie.

Il cantiere greco era organizzato in modo notevole e altrettanto studiati e curati erano gli strumenti di lavoro. I greci, non impiegando come legante la calce che uniforma le imperfezioni e le asperità, avevano una tecnica di esecuzione di perfezione assoluta. Il blocco di pietra doveva essere tagliato perfettamente sui piani di posa e inoltre non strisciato ma trasportato con apposite macchine . Per collegare le pietra si facevano colature di metallo fuso nelle incisioni realizzate tra pietra e pietra, creando così precisi elementi metallici di collegamento. Con questa tecnica venivano montati i rocchi sbozzati delle colonne che venivano poi fissate centralmente e completate con lo scalpello degli scultori una volta montate in verticale.

Il periodo aureo dell'architettura greca

I greci arrivarono a fissare gli ordini architettonici in schemi canonici caratteristici di alcune aree geografiche e di precisi fasi storiche dell'architettura classica.

L'ordine dorico legato particolarmente alle aree del Peloponneso e delle colonie greche in Italia si presenta in una forma strettamente essenziale, lontana dai riferimenti naturalistici, con elementi meno slanciati di quelli di altri ordini.

La colonna dorica non ha una sua base, ma poggia direttamente su una platea (stilobate) circondata da gradoni (crepidoma) in genere tre. Il fusto della colonna è rastremato, cioè va restringendosi verso l'alto. Ha un profilo non costituito da una linea retta ma da una linea leggermente curva (entasis) che elimina l'effetto di rigidità, dando quasi l'illusione di reagire al peso dell'architrave convogliato sul capitello.

Le colonne sono scanalate a spigolo vivo.

Elemento di passaggio tra gli elementi verticali e quelli orizzontali, nell'ordine dorico il capitello è costituito dall'echino e dall'abaco. nel periodo classico la forma dell'echino si avvicina molto ad un tronco di cono mentre è più schiacciato e sporgente nei templi arcaici. L'abaco, che sovrasta l'echino, ha la forma  di un parallelepipedo a base quadrata. L'architrave insieme al fregio, formato da triglifi e metope, e alla cornice costituisce la trabeazione.

L'ordine ionico è legato soprattutto all'Asia Minore, che fu la sua vera patria. Essendo connesso con un ambiente artistico sensibile ai valori decorativi, esso è caratterizzato da un capitello con volute, palme, ovuli, con le tipiche spirali. L'abaco risulta essere schiacciato e l'echino  è a pianta circolare intagliato ad ovuli racchiuso da una specie di cuscino che si arrotola in due volute. Il fusto della colonna ha scanalature che non si incontrano a spigolo vivo ma restano separate da strisce piane. La base ha due tori e una scozia interposta conferendo slancio alla colonna. Il plinto quadrato verrà aggiunto in un secondo momento.

L'ordine corinzio presenta maggiore snellezza con un rapporto di altezza con il diametro di base pari a 1/10 (1/4-1/6  nell'ordine dorico e 1/8 nello ionico). Il capitello è chiaramente ispirato a forme vegetali con manifattura di altissimo livello scultoreo.

Quest'ordine fu largamente adottato dai romani.

Il Partenone (447-432 a.C.)

Edificato sotto Pericle nel periodo aureo dell'architettura greca, il Partenone rappresenta il capolavoro assoluto della ricerca della Bellezza e della Perfezione. Fu costruito dagli architetti Ictino e Callicrate e Fidia ne fu il grande principale scultore.

Acropoli di Atene, ricostruzione assonometrica

Esso domina l'Acropoli, dedicato alla dea Athena, protettrice della città. L'Acropoli è collocata in una zona alta del territorio, costituita da diversi edifici a servizio della collettività e il Partenone rappresenta il punto focale di una società attiva, in pieno fermento che ha costituito in sé una solidità culturale unica nella storia. 

Si tratta di un tempio octastilo e periptero, circondato da magnifiche colonne di ordine dorico rastremate e alte quasi sei volte il diametro di base. I frontoni erano ornati dalle mirabili sculture di Fidia e della sua scuola relative alla nascita di Athena e  alla lotta di Athena con Poseidone. Lo spazio interno fu pensato formato da due ambienti non comunicanti: uno minore (Parthenon o stanza della vergine) a pianta quasi quadrata e uno maggiore (naos) a pianta rettangolare contenente la preziosa statua di Athena in oro e avorio creata da Fidia, preceduti rispettivamente da due portici, cioè dall'opistodomo e dal pronao.

Se la distribuzione in pianta, il prospetto, i decori non fossero sufficienti a spiegare la perfezione, il Partenone esprime il massimo della sua magnificenza nei dettagli geometrici che costituiscono la correzione ottica e prospettica per l'osservatore.

 

L'architettura greca infatti non è pensata come rigida composizione di linee verticali e orizzontali in quanto le linee sono invece sottilmente vibrate da lievi curvature. Esse infatti, consentono di correggere la percezione di chi osserva "compensando" le infinitesime aberrazioni dovute alla prospettiva che altererebbero la consistenza in termini di perfezione geometrica a seconda del punto di osservazione. Così, stilobate, architravi, cornici, anche se perfettamente orizzontali, sarebbero risultati come curvati, abbassati nella mezzeria e pertanto furono adottate lievi convessità per compensarne gli effetti.

Lo stilobate è leggermente convesso al centro con una freccia di 6 cm sul lato corto e di 11 sul lato lungo (questa maggiore "tensione" è riportata anche nella decorazione del frontone che risulta essere più cruenta raffigurante la lotta tra Poseidone e Athena); le colonne sono leggermente piegate verso l'interno costituite da rocchi diversi l'uno dall'altro per adattarsi alla curvatura dello stilobate.

Ictino decise di aumentare l'interasse al centro facendo in modo che le colonne d'angolo risultassero più vicine, enfatizzando la sensazione di robustezza.

La Perfezione: la proporzione aurea

La proporzione aurea è una particolare relazione tra forme e numeri che rende una forma geometrica perfetta.

Il concetto di perfezione quindi non nasce da una considerazione di tipo soggettivo, legata quindi al gusto personale o a scelte individuate su valutazioni arbitrarie.

La perfezione ha una radice matematica, geometrica, dimostrabile, calcolabile, e che è riscontrabile dall'osservazione della natura e dei suoi fenomeni.

La proporzione aurea è il rapporto tra due grandezze che fanno parte della stessa geometria e che definiscono la loro relazione reciproca secondo un valore invariabile φ=1,61803

Questo rapporto genera molto più semplicemente una figura geometrica: il rettangolo aureo dove un lato misura 1 e l'altro 1,61803.

Ribaltando in maniera infinita il lato più piccolo al suo interno sarà possibile suddividere il rettangolo aureo in infiniti rettangoli aurei sempre più piccoli che rispetteranno le medesime proporzioni.

E' in questo modo che è facile leggere la famosa spirale realizzata sui rettangoli aurei e che rappresentano espressione diretta della perfezione in natura.

La perfezione del Partenone, che già risulta essere modello di perfezione per le numerose caratteristiche geometriche, stilistiche, ottiche. costruttive, ecc. in precedenza elencate, è portata alla massima espressione della bellezza anche per il rispetto della proporzione aurea che è evidentemente elemento primario della sua estetica.

Il prospetto, la pianta, la suddivisione degli ordini, degli ambienti, tutti rispettano la proporzione aurea e a loro volta definiscono altre sezioni auree facilmente evidenziabili.


Ed eccomi giunta alle considerazioni finali a termine i questo lungo ed impegnativo capito del mio blog.

Come già detto, questi piccoli percorsi hanno lo scopo di lasciare tracce di un pensiero, di alcuni studi, di alcune analisi di progettazione che possono e devono definire dei riferimenti nella memoria, perché per fare sempre meglio è necessario studiare. Sempre.

La Bellezza è gusto, è ricerca. La Bellezza è geometria, è proporzioni. La Bellezza è matematica. La Bellezza è oggettiva. 

La Bellezza è Perfezione.

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5. Progettazione dello spazio scenico (ep.1)

Pubblicato il 13 luglio 2024 alle ore 08:16

Circa 15 anni fa mi innamorai. Come un colpo di fulmine trovai improvvisamente "il senso" di un percorso (anzi di due percorsi diversi e incompatibili) che era il filo rosso della mia vita. La scenografia teatrale.

Da sempre divisa in due, come avessi due anime inconciliabili e sempre in lotta, quel primo giorno di lezione nella aule di Valle Giulia a Roma fu per me "l'occhio di bue" sul monologo centrale della mia storia: musicista o progettista?

Capii in pochissimo tempo che era possibile disegnare la musica, percepirne gli spazi architettonici e allo stesso tempo era possibile far suonare gli ambienti, armonizzare, raccontare come un canto l'avanzare di uno sguardo.

E' l'esercizio e il lavoro che applico ogni volta nei miei disegni, è la ricerca di tutti i progetti, dal più semplice a quello più complesso. L'architetto deve "sentire" lo spazio.

Apro oggi questa nuova rubrica dove racconterò la parte più "interior" dell'Architettura degli Interni, quella del pensiero.

Qualsiasi progettazione non può prescindere dal pensiero perché in esso è contenuto un ritmo, una melodia, un timbro che il progettista deve cogliere per poter cucire una nuova traccia...

La progettazione della scenografia teatrale in particolare, offre la possibilità di portare al massimo livello l'espressione di questo pensiero. Perchè il pensiero è quello contenuto nella narrazione e il timbro è quello che l'autore ha impresso nelle pagine del suo racconto. Il progettista teatrale percorre la storia e fa suonare lo spazio.


Un Tempo per Volare (Daniela Donatone, Ed. Città Nuova 2022) - Tra Fede, Sogno e Scelte

Vivere la fiducia in Dio decidendo di fidarsi ciecamente senza interferire, oppure prendere in mano i propri sogni, imboccare la strada e andarseli a prendere?

Immagino la vita come un infinito diagramma di flusso, dove ad ogni risposta corrisponde una direzione inequivocabile. Ogni scelta traccia un percorso unico. Questa unicità caratterizza tutto il vissuto, nel bene e nel male. Scegliere è un "sì" o un "no". Non è possibile patteggiare. Accogliendo una cosa si rifiuta definitivamente l'altra. E quella non c'è più. Scegliere significa non guardarsi più indietro. Significa puntare lontano e tracciare la strada.

Muovendomi in questa analisi ho trovato riscontro in una dimensione architettonica e matematica che potesse rappresentare la "casuale ripetitività" delle cose.

I frattali (dal latino fractus, spezzato, per via della dimensione frazionaria degli elementi ripetuti) sono enti geometrici caratterizzati dalla ripetizione di una forma su scale diverse, e dunque capaci di riproporre all'infinito (ingrandendo una qualunque sua parte) una figura simile all'originale.

Uno di questi esempi è stato scelto per dare sfondo al racconto con una delle immagini più eloquenti; l'albero frattale di Pitagora.

Costruito sulla  base dell'omonimo teorema, l'albero si sviluppa sulla riproduzione sempre più infinitesima del triangolo rettangolo costruito sull'ipotenusa. Esso fu disegnato per la prima volta da Albert E. Bosman intorno al 1942.

Osservando questa parte di un'infinita diramazione di moduli geometrici, è possibile immaginare quanto ciascun elemento sia "figlio" di qualcosa che è avvenuto prima, di quanto l'esistenza di ogni pezzo sia fortemente legato alla solidità di ciò che lo precede ed è, inoltre, ingrediente di ciò che sarà.

Le scelte, i sogni, le direzioni, le aspettative, ciascuno di questi definiscono la possibilità futura di nuovi elementi simili che a loro volta ne genereranno altri. E così via. Ogni segmento è un potenziale infinito di nascita.

Forse guardando questa casuale sistematicità delle combinazioni che disegnano l'Albero è possibile sorprendersi di quanto esse siamo connessioni di Sogno, Scelte e Fede.

L'impulso del cuore e l'intelligenza delle Scelte definiscono insieme l'Unicità di quel meraviglioso albero che, abbracciato dalla Fede, resterà Vivo in eterno.

Un buon progettista cerca di prevedere tutto, proporzioni, aspetti costruttivi, effetto finale... quando il progetto è in scena prende vita e ti accorgi di cose per le quali devi ringraziare la musica.

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4. Progettazione della natura (ep.1)

Pubblicato il 6 luglio 2024 alle ore 08:09

Inizia oggi un lungo viaggio nel mondo della progettazione della natura.

Scopriremo il percorso che l'uomo ha tracciato nella storia della nostra casa comune, trovando spunto per alcune considerazioni che ci porteranno a valutare i "passaggi storici" come causa ed effetto di una ricerca che non avrà mai fine.

Perché l'uomo è un essere in ricerca.

 

L'architettura del paesaggio è l'arte di condizionare l'assetto naturale, rimodellare i luoghi per renderli fruibili ed esteticamente godibili. In senso più ampio ci riferiamo a tutte le attività attraverso le quali l'ambiente, modificato dall'uomo, si fa paesaggio.

"E' opera nostra lo sfruttamento dei monti e delle pianure, i fiumi ed i laghi sono in nostro potere, siamo noi che seminiamo i cereali, che piantiamo gli alberi, che fecondiamo i terreni con opere di canalizzazione e di irrigazione, che arrestiamo, che incanaliamo, che deviamo il corso dei fiumi, che ci sforziamo, in ultima analisi, di costruire in seno alla natura una specie di seconda natura." (Marco Tullio Cicerone, De natura deorum, 45 a.C.)

Le origini

Popolazioni antiche, in tempi remoti, diedero avvio all'architettura del paesaggio quando, ravvisando nello spazio naturale la presenza di forme sacrali, individuarono alcuni siti come luoghi di culto e ne segnalarono la dignità affinché potesse essere trasmessa agli uomini. Si trattava di montagne, caverne, sorgenti, alle quali le comunità preistoriche assegnarono una forza spirituale.

Lo fecero, a volte, con un'incisività capace di attraversare il tempo.

Il paesaggio vergine divenne materia da cui percepire tensione spirituale e sul quale  inscrivere la testimonianza della ricerca di un ordine superiore nel tentativo di connettere l'umano ad un ordine superiore, il limite all'infinito. 

Le caverne ad esempio furono tra i primi elementi naturali ad esprimere questo concetto: esse suggeriscono un'esplicita analogia  con il grembo materno da cui la vita emerge. E' da caverne e crepacci che l'uomo primitivo osservava sgorgare acque che fecondano la terra.

Dalla contemplazione alla composizione

E' a partire dal paleolitico superiore che si rilevano raffigurazioni murario all'interno delle caverne. Si tratta di immagini impresse con carbone e colori vegetali con probabili raffigurazioni propiziatorie realizzate da tribù di cacciatori per favorire l'abbondanza della cacciagione, oppure immagini didattiche per i giovani, che indicavano l'aspetto degli animali da cacciare.

E' probabile che nelle caverne si tenessero cerimonie, consultazione degli oracoli. Le caverne furono forse usate come camere acustiche per i canti e i suoni rituali.

Lascaux- Francia, 17000-15000 anni fa

In seguito al progressivo riconoscimento di un territorio come specifica sede di vita, l'uomo avvia le prime attività agricole, le quali, regolate come sono dal sole, dalla luna, dalle stagioni e dai capricci atmosferici, implicavano conoscenze climatiche e astronomiche.

Si pensa infatti che con i primi elementi lapidei  trasportati dalle cave e posizionati abilmente in luoghi più distanti, rappresentassero il primissimo tentativo di circoscrivere un luogo (sacro) in cui i sacerdoti e gli astronomi del tempo potessero prevedere i momenti più propizi per piantare e raccogliere, prevedere fenomeni celesti come le eclissi.

Pur non essendoci alcuna certezza in merito, è il caso dei famosi megaliti, in greco "grandi pietre", le rocce oblunghe che diedero luogo a diverse tipologie compositive. 

Prendono il nome di menhir quando sono alzate in verticale (singolarmente o secondo allineamenti che accompagnavano un percorso), più o meno paralleli. Quando delimitano un'area circolare o quadrangolare, circoscrivendo , forse, spazi sacri, prendono il nome di cromlech. Prendono il nome di dolmen quando la composizione diventa trilitica con un megalite utilizzato come architrave. L'accostamento di queste composizioni trilitiche consentiva la realizzazione di camere che potevano essere ricoperte di terra dando luogo a grandi tumuli che potevano servire come sepolcri.

Carnac - Francia, 5000-2000 a.C.

Stonehenge

piana di Salisbury, Inghilterra, 2750-1500 a.C.

"Stridono le autoCome bisonti infuriatiLe strade sono praterieAccanto a grattacieli assolati

Come possiamoTenere nascostaLa nostra intesaEd è in certi sguardiChe s'intravede l'infinito..."


Nel prossimo episodio scopriremo che la medesima volontà di trovare un rapporto con l'ordine cosmico attraverso la sovrapposizione di segni e simboli nei luoghi della natura, rappresenta una ricerca comune a tutti i popoli.

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3. Il sogno di Gio' Ponti

Pubblicato il 29 giugno 2024 alle ore 08:40

Qualche anno fa mi fu chiesto di realizzare un'immagine per una decorazione muraria che richiamasse le geometrie dell'Architettura della Concattedrale Gran Madre di Dio di Taranto.

Fu una proposta accattivante che mi stimolò tantissimo e che mi permise di approfondire la ricerca che il grande architetto intraprese nello studio di questa meravigliosa struttura.

Sarebbe difficile raccontare in maniera discorsiva tutte le ricerche che mi hanno portato al disegno finale, ma porto di seguito tutti i riferimenti e le note che mi hanno consentito di sovrapporre e legare le suggestioni che hanno accompagnato il mio lungo percorso.

 

"Il mio spirito è stato fin dall'origine diviso: da un lato volevo fare una chiesa povera, risparmiando i santi denari del Signore, mortificando l'architettura anche per il timore che si insinuasse nell'opera un'ambiziosità profana d'architetto." (dalle lettera a Mons. Motolese, G. P.)

La Cattedrale che Naviga

Tra i primi appunti di Gio' Ponti si legge l'intenzione fondamentale (nonché il punto di partenza e di arrivo) del suo progetto: "l'opera non sia soltanto in funzione delle sue cerimonie,ma sia rifugio e difesa degli animi e degli intimi pensieri e della verità della vita (e forse più) di ogni persona in solitudine che vi entri (perchè la sua porta è aperta a tutti), con i suoi dolori e le sue speranze, con le sue illusioni anche e con i suoi rimorsi. E da quelle mura deve ricevere omaggio o rassegnazione, conforto, ausilio di virtù, serenità nel sentirsi con tutti i viventi nel comune destino e nel potersi anche sentire solo con Dio, in un luogo sacro..."

La Vela

Elemento fortemente caratterizzante di tutto il progetto e la Vela.

Essa ha comportato diverse modifiche sulla carta, costringendo l'architetto a numerosi tentativi per cercare quella geometria che perfettamente rappresentasse i suoi intenti.

La vela, sinonimo di leggerezza, di libertà, di "soffio" che fa muovere anche i pesi più grandi.

 

"Stendardo lucente di giorno e attraverso si vedrà l'azzurro del cielo e luminoso di notte"

"Essa è arditissima, tesa come una vela fra le torri campanarie, senza appoggi sotto; è aerea e ieratica. Dio sia ringraziato" (La vela del progetto definitivo)

Il tempio

"Gli ambienti siano semplici, sullo stile della santità: atmosfera intima, pulita, nitida, con muri bianchi e pavimenti di ceramica verde. Una casa luminosa come uno sguardo puro."

 

Il corpo principale della struttura è collocato al di sotto della vela. Esso è proprio come il "cuore" di una nave che pulsa insieme alla vita della gente che si muove nel quartiere circostante (vedi paragrafo "Considerazioni Urbanistiche").

Il cuore non si vede ma lavora sotto, lavora dentro, e su questa linea di pensiero Gio' Ponti aveva previsto che la struttura fosse "selvaggiamente aggredita dalla vegetazione".

Il verde

Il verde ha caratterizzato in modo particolarmente incisivo tutti gli schizzi dell'architetto.

Sull'evocazione di Piazza dei Miracoli (Pisa), Gio' Ponti aveva indicato colori, distribuzione e tipologie della vegetazione che avrebbe arricchito (se non proprio costituito!) l'architettura.

Il prato con odorosi eucalipti (dalla rapida crescita), i bougenville e le verdi edere che avrebbero dato vita alle grandi murature bianche... la vite del Canadà con i suoi frutti...

L'acqua

Per dare movimento ad una grande nave spinta dal vento a vele spiegate, Gio' Ponti disegnò al disotto di essa l'elemento essenziale affinché l'opera prendesse il largo, l'acqua.

Un grande bacino a tre livelli proprio ai suoi piedi riproduce il disegno della splendida struttura raccontandone i profumi, gli umori... un disegno cangiante, in movimento, fresco, sempre nuovo.

 

L'acqua, il tempio, la vela, il verde, la vita umana, la cultura... "selvaggiamente aggredita dalla natura".

Considerazioni Urbanistiche, il Sogno di Gio' Ponti

L'architettura non è un elemento a sé, non può prescindere dal contesto.

Anzi, diventa possibilità di collegamento, di unione, di riqualificazione.

Come un processo di sanificazione armonica, l'architettura nasce e arriva al luogo che la contiene.

Probabilmente è da questo pensiero che Gio' Ponti aveva iniziato a muovere i primi tratti sulle pagine del suo taccuino:

l'area avrebbe costituito un centro di incontro per la vita umana che includesse (anche) il progetto religioso.

Le case della gente, il verde, insieme all'asilo e al verde,  le scuole e il verde, il museo con la biblioteca, il verde.

Un intervento urbanistico a grande scala che avrebbe segnato i tratti di un quartiere di Taranto che aveva ancora tempo, spazio e possibilità per cambiare rotta... 

Negli anni sessanta infatti, prendeva il via un'espansione edilizia veloce e imponente (brutale) proprio nella zona che circondava l'area libera che avrebbe dato carta bianca ad un progetto straordinario:

"una corona di dignitose case di abitazione che abbia a creare un paesaggio di valori omogenei ed armonici che tolgono dalla vita la fatale eterogeneità e di illuminazione pubblicitaria dell'edilizia al margine estremo delle vie che delimitano la zona nella quale sorge la Cattedrale".

Un sogno in grande, dove natura, spiritualità e cultura avrebbero trovato casa.

"...vediamo solo per immaginazione mentre ogni altro artista conosce in realtà quel che fa; vede il pittore, sente il musicista.

Noi architetti vediamo solo per la prima volta quando son fatte. E se non corrisponde non c'è più nulla da fare. E se corrisponde  allora bisogna ringraziare Dio che ci rivela delle cose alle quali non avevamo pensato e son sortite per incanto."

Gio' Ponti

"Des chosee sont sacrèes, des autres ne le sont pas, qu'elles soient religieuses ou non."

(Le Corbuisier)

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2. Il vetro, una pausa sul pentagramma

Pubblicato il 22 giugno 2024 alle ore 17:46

Secondo un racconto di Plinio, questo materiale fu una scoperta accidentale dovuta ad alcuni mercanti fenici che, intorno al 5000 a.C., sbarcati presso le rive del fiume Belo in Siria, accesero un fuoco da campo ed usarono per appoggiare le loro pentole dei blocchi di nitrato prelevato dal carico che trasportavano.

Un'invenzione del tutto casuale che diventa elemento essenziale per la progettazione e che è spunto per alcune riflessioni (appunto!).

Il vetro quando è ad alta temperatura è duttile, plastico e malleabile; in stato di fusione può essere soffiato, impastato, tirato e pressato. Quando è freddo, il vetro presenta una notevole durezza, è trasparente, leggero e stabile.

Dal bicchiere alla vetrata scorrevole delle nostre verande, il vetro assume il ruolo del vuoto nella geometria, del respiro nella solidità del pieno. Come una pausa sul pentagramma.

Ritengo che sia la parte più bella della progettazione perché dà luce, dà vita al tutto.

Il vetro è capace di farsi attraversare per guardare dentro, per scorgere la profondità.

Allo stesso tempo è lui che ripropone l'immagine di ciò che lo circonda, con i riflessi, i bagliori, riproducendo in tempo reale  il movimento delle foglie e le ombre… é statico ed è dinamico.

Perché la trasparenza è leggerezza.

Casa Farnsworth di Ludwig Mies van der Rohe - 1951 Plano, Illinois, Stati Uniti d'America

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1. Parlare di Musica è come Ballare di Architettura

Pubblicato il 21 giugno 2024 alle ore 14:06

Scelgo questa citazione seppur non del tutto verificato essere attribuita a FranK Zappa (compositore, chitarrista, cantante e polistrumentista statunitense, considerato uno dei maggiori talenti musicali del novecento) perché rappresenta le mie due anime.

Diverse e Concordi. La Musica e l'Architettura.

L'una e l'altra si muovono in modo leggero e libero, rispondendo alle esigenze e rispettando regole precise ed imprescindibili.

Parlare di musica è tutto ed è niente; puoi parlare del tuo respiro senza respirare?

Inizio da qui, da questo interrogativo senza un significato, senza una partenza e senza nemmeno un punto di arrivo.

Perché quello che conta è lo sviluppo dei percorsi, gli sguardi, le forme e luci che definiscono un luogo: lo stato d'animo.

La Casa Danzante 

V. Milunic' - F. Gehry - PRAGA 1992-1996 

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